Interprete, musicista, autore di cinema e di teatro, attore. E di recente anche scrittore. Non è un caso che Ornella Tarantola, la libraia italiana più famosa di Londra, durante la serata di presentazione de "Il caciocavallo di bronzo" all'Italian Bookshop, introduca Peppe Voltarelli paragonandolo a un artista del Rinascimento. Inarrestabile, poliedrico, sempre in viaggio. Intervista di Gloria Danili.
Arrivo verso le 12.30pm al Moreish Cafè Deli vicino ai Cartwright Gardens di King's Cross, e trovo Peppe seduto su un tavolino al sole con un cappotto arancione bordato di pelliccia color caffè, dal sapore seventies e l'aria decisamente rock.
Ordiniamo una frittata e uno speciale panino "spanish deli", e tra un boccone e l'altro, comincio a fargli qualche domanda.
GD: Un tema molto caro agli italiani che vivono all'estero è quello dell'emigrazione. Quella di oggi è sicuramente un'emigrazione diversa rispetto a quella dei nostri nonni... Dalla valigia di cartone al trolley, dalle lunghe traversate ai voli low cost...
Com'è cambiata l'emigrazione di oggi rispetto a quella dei nostri nonni, e cosa invece ci accomuna a loro?
PV: Bhè, ovviamente sono cambiate alcune condizioni fisiche legate all'emigrazione.
I mezzi di comunicazione e quelli di trasporto sono sicuramente più attuali e veloci... ma nonostante questo, una cosa è rimasta inalterata: il concetto di spostamento, la voglia di vedere oltre, l'idea di confrontarsi-scontrarsi con le altre culture... l'aprirsi al mondo senza perdere la nostra identità, ma, al contrario, trovando la nostra identità di "italiani" proprio quando si è lontani da casa.
Il meccanismo del migrante è il meccanismo delle piccole grandi nostalgie di casa.
È quella sensazione di un "dig", un grande scavo interiore, un fosso che crei tra te e quello che hai lasciato dietro. Certo, c'è da dire che i nostri nonni 50 anni fa spesso migravano perché costretti, oggi, spesso, si va via per scelta.
Ma, per quanto ci allontaniamo, la nostra italianità ci sarà sempre. Com'era per loro.
A livello concettuale-filosofico, la dinamica del viaggio è la dinamica del togliere e del riempire. Del cercare e ritrovare. E non esiste un viaggio senza un ritorno...
GD: Il tuo è stato sicuramente un percorso personale e professionale "unconventional" nel campo della musica. Hai preferito seguire il tuo sogno in modo autonomo, attraverso etichette indipendenti...
PV: Io ho sempre creduto nella creazione originale, che in questo momento è quello che mi sta dando più soddisfazione... come il riuscire a crearmi uno stile mio, unico, e per questo autentico. Poter fare quello che davvero vuoi, poter scrivere la musica che senti, senza dover seguire le mode, ti fa sentire libero... anzi, poi succede spesso che siano le "mode" a seguire te...
L'idea stessa della "cover", dell'emulazione, del remake è per me invece un limite alla creatività... in Italia invece, a partire dai talent, è tutta una cover.
E abbiamo anche l'aggravante che da noi c'è poco pluralismo, e che il circuito di locali ed etichette indipendenti andrebbe sostenuto. Da noi non ci sono le leggi -come quelle di Germania e Francia- che sgravano fiscalmente chi fa questo lavoro, né c'è l'incentivazione alla promozione della cultura italiana nel mondo... insomma, come portiamo all'estero la marmellata, perché non siamo riconosciuti (e sostenuti) come esportatori di musica italiana nel mondo? Io, metaforicamente, sono un esportatore di musica di frontiera calabrese con fisarmonica.
GD: Ti senti un pioniere di questa esportazione nostrana?
PV: Sono più di 15 anni che lavoro all'estero, da un film del 2005 che portammo in Germania... di questa esportazione "recente" posso dire che mi sento un apripista, anche se storicamente negli anni '60 ci fu un grande flusso di cantanti italiani che portavano la loro musica fuori dai confini nazionali... come Dalla, Modugno, Nicola di Bari... poi però c'è stata una grande involuzione culturale, di educazione e di metodo.
A livello educativo, infatti, c'è un problema di formazione, e a livello sociale, oggi manca la classe media... o nicchia o generalismo da salotto televisivo.
E chi, come me, si ritrova a fare parte della "nicchia", fa in realtà un lavoro "spalmato" su diversi settori: dalla musica al cibo, dalla scrittura alla politica, al cinema... Spesso veniamo invitati in piccoli borghi che organizzano rassegne di colture non seriali, di vini eccellenti che rispettano l'ambiente.
Agiamo così su un discorso educativo, ma abbiamo bisogno di un sostegno.
Che oggi non c'è.
GD: Parlavi poco fa del tuo sentirti libero rispetto alle scelte che hai compiuto nella tua evoluzione artistica. Cosa vuol dire per te sentirsi liberi? La libertà corrisponde al coraggio, all'essere controcorrente?
PV: Io scelgo sempre dove andare a suonare. Scelgo con chi interfacciarmi. Sul palco posso dire quello che voglio. E questa è una grandissima libertà, la libertà di opinione.
Io da molti anni sono impegnato sul fronte della lotta alla Mafia. Ma è ovvio che se la lotta antimafia rimane uno slogan, un clamore plateale, non serve a nulla. Io sono per l'antimafia che costruisce. Punto a costruire una rete di persone solidali che guardino in direzione dell'onestà e della condivisione. Ma questo puoi farlo solo se decidi tu con chi interfacciarti e con chi ti vuoi "mischiare".
Essere libero è scegliere di tasca propria di andare nelle scuole a parlare coi ragazzi di lotta alla mafia, di musica, di radici culturali, di mondo.
GD: Come rispondono i ragazzi?
PV: I ragazzi sono interessati al cambiamento. Sono materia plasmabile, se ci lavori fin da piccoli puoi portarli all'amore per la cultura. I giovani sono avidi di storie vere, autentiche, storie di speranza per il futuro.
Lato loro, mi danno un sacco di energia, di stimoli, contribuiscono con le loro vite a darmi spunti per la narrazione e per nuove storie.
GD: Molti rivedono in te un erede di Domenico Modugno. Cosa rispondi loro?
PV: Li ringrazio, anche se sarebbe molto impegnativa come eredità... Modugno è stato un artista immenso, nonché un grande innovatore che è riuscito a coniugare lo spirito popolare con una minuziosa ricerca di qualità, lingua, performatività, teatro e scrittura. Alcuni lo considerano il primo "punk" italiano: è stato il primo ad aver sovvertito le regole della canzone italiana, ed è stato anche il primo cantautore.
La sua grandezza è stata l'essere capace di fondere lo spirito del Sud su una sola strada. È stato l'unico cantautore italiano ad aver portato il suo pezzo ("Volare", ndr) ad essere numero 1 in classifica in America... per 20 settimane!
GD: Oltre a Modugno, quali sono stati gli altri tuoi ispiratori musicali?
PV: Endrigo, Jannacci, Gaber, Claudio Lolli, Piero Ciampi, Guccini e Dalla.
Artisti taglienti, pungenti ma anche malinconici.
GD: Sogni/progetti per il futuro?
PV: Ne ho un paio: fare una tournée nelle case di riposo per anziani, e fare costruire per davvero un caciocavallo di bronzo sul lungomare calabrese.
GD: Come vorresti essere definito?
PV: Un bluesman della Sibaritide.
Peppe Voltarelli è in concerto il 29 ottobre 2014 al The Monarch - 40/42 Chalk Farm Rd - London